Le associazioni di mestiere nell’economia dell’Europa preindustriale (secoli XII-XVIII)
I risultati del progetto di ricerca saranno presentati a Prato durante la LVII Settimana di Studi (10-14 maggio 2026)


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Cristoforo de Predis (ca. 1450-1460), De Sphaera (Modena, Biblioteca Estense Universitaria, a.X.2.14 = Lat.209)
© Biblioteca Estense Universitaria

Nel XXI secolo il tema delle associazioni di mestiere, che ha avuto un posto di rilievo nella storiografia europea di fine Ottocento e di buona parte del Novecento, sta vivendo una seconda giovinezza. Lungi dal presentarsi come una questione storica esaurita, quella del ruolo delle unioni professionali nelle economie e nelle società dell’Europa medievale e moderna, infatti, mostra una notevole vitalità suscitando l’attenzione di studiosi di diversa provenienza e interessi e alimentando un vivace dibattito, centrato soprattutto sulle corporazioni (Horn 2015; Prak et al. 2020; Ogilvie 2021). L’ampia diffusione delle associazioni di mestiere in tutta l’Europa preindustriale e le molteplici funzioni che assolsero nei diversi periodi e contesti, inoltre, ne fanno un soggetto particolarmente idoneo per una trattazione di tipo comparativo e diacronico, soggetto che oltre tutto non è stato mai affrontato direttamente nelle Settimane Datini, anche se talvolta è emerso negli incontri dedicati ad altri argomenti.
L’analisi che si intende sviluppare nella LVII Settimana non ha per oggetto un modello o una tipologia dominante, anzi, il suo primo obiettivo è quello di documentare le diverse forme e varianti locali e regionali dell’associazionismo a base professionale: non ovunque, infatti, l’esistenza di gruppi di mestiere si tradusse (o si tradusse inizialmente) nella formazione di corporazioni, intese come strutture tendenzialmente autonome di gestione degli interessi dei gruppi di mestiere riconosciute dal potere pubblico. Tra lavoro ‘libero’ e lavoro ‘corporato’ esistevano ampi spazi intermedi dove si muovevano sia associazioni non corporate riconosciute, come le confraternite di mestiere, in cui la dimensione professionale si intrecciava con quella religiosa e solidaristica, sia gruppi informali e semi-legali ma che agli occhi delle autorità locali presentavano «gli stessi vantaggi dei corpi di mestiere ufficiali, garantendo la regolarità delle pratiche di produzione e di impiego, limitando le controversie e permettendo di disporre di interlocutori rappresentativi in caso di conflitto» (Kaplan-Minard 2004).
In Catalogna, per esempio, nel corso del Duecento secolo ebbero un notevole sviluppo le unioni professionali (oficios), che si dotarono di propri capi, cui competeva il controllo di tutti gli aspetti del processo produttivo e la rappresentanza degli interessi degli associati. Nel successivo mezzo secolo, poi, si delineò la progressiva trasformazione degli oficios in Corporazioni, a partire dai mestieri tessili di città come Perpignano e Barcellona (Riera i Melis 1993). In Castiglia, invece, istituzioni corporative sul modello catalano sembrano essersi formate solo durante il Regno dei re cattolici; ciononostante è ormai accertato che gruppi di mestiere organizzati esistevano fin dalla metà del XIII secolo, sebbene non sia facile comprendere la loro esatta natura, anche a causa di una terminologia che oscilla fra i termini di ‘confraternita’ e di ‘mestiere’ (Menjot 1994; Monsalvo 2002). In Italia la situazione del Centro-Nord, dove ampia e diffusa era la presenza di corporazioni in senso proprio, differiva decisamente da quella del Mezzogiorno, dove i gruppi di mestiere assunsero una fisionomia corporativa solo alla metà del Trecento nel Regno di Napoli e all’inizio del Quattrocento in quello di Sicilia (Franceschi 2017).
In Francia, fin dal basso Medioevo, ai métiers jurés si affiancarono le confraternite di mestiere e anche comunità professionali create sulla base della consuetudine. La loro esistenza continua ad essere documentata nell’età moderna, quando assunsero una più chiara evidenza anche i compagnonnages. Si trattava di un altro modo di ‘fare corpo’, di una sorta di corporativismo senza corporazioni, che comunque assicurava ad ogni associazione un suo perimetro di attività e intervento. Così nel XVII secolo i mercanti di grano di Parigi, che non avevano corporazione, disponevano di una confraternita e soprattutto di una forte organizzazione e di specifici privilegi (Sewell 1980; Garrioch 2018). Anche nelle città inglesi accanto alle corporazioni propriamente dette, sono state identificate almeno altre due tipologie: associazioni informali e temporanee di lavoratori dello stesso mestiere nate per perseguire un obiettivo specifico e comunità non ufficiali e talvolta clandestine di salariati specializzati (Rosser 1994; Lis-Soly 1994).
Non solo il mondo dei gruppi di mestiere non era irrigidito in modelli e immobile, non era neppure confinato alle città o ai centri minori: fra XVI e XVIII secolo, infatti, in diverse regioni dell’Europa centrale e orientale, numerose aree di produzione proto industriale erano organizzate in corporazioni o in associazioni simil-corporative che nel Württemberg – per fare un esempio relativo all’ambito tedesco – assunsero la forma di organismi di distretto (Ogilvie 2019).
Il tema preso in esame, per la sua natura pluridisciplinare, può essere indagato da diverse angolazioni, compresa la prospettiva politico-istituzionale e quelle solidaristico-assistenziale e ideologico-culturale, angolazioni che potranno certamente entrare del quadro di riferimento degli interventi. Le domande-chiave, tuttavia, riguardano il ruolo svolto dalle associazioni di mestiere nella difesa degli interessi delle categorie rappresentate, nel disciplinamento del mondo del lavoro, nel rapporto con la manodopera femminile e soprattutto nella crescita economica attraverso le politiche nei confronti del mercato, della formazione del capitale umano, della tutela della qualità e del progresso tecnico.

Le relazioni proposte per la Settimana Datini devono toccare uno o più di questi temi:

1. Definizioni e tipologie
• Assodato che nell’Europa preindustriale esistevano diverse tipologie di associazioni di mestiere, è possibile, entro specifiche coordinate spaziali e cronologiche, identificarne caratteri comuni e differenze? È altrettanto possibile coglierne i mutamenti organizzativi nel tempo?
• Quali erano le condizioni che orientavano o determinavano la scelta in favore di una determinata forma associativa?
• Com’erano internamente strutturati i sodalizi? Chi li governava e come? Qual era il loro funzionamento sotto il profilo economico?
• Quali forme assumevano i rapporti con i poteri pubblici?
• In quali casi e per quali motivi le autorità non concessero l’autorizzazione alla formazione di associazioni professionali? In quali casi e per quali motivi ne decretarono la soppressione?

2. Rappresentanza e difesa degli interessi
• L’associazione rappresentava gli interessi di quale/i categoria/e professionale/i?
• La fissazione delle condizioni di ingresso nel gruppo di mestiere: protezione dei membri dalla concorrenza, meccanismo di bilanciamento fra domanda e offerta di lavoro o privilegio di lobby?
• Mestieri organizzati e monopolio di esercizio: un privilegio effettivo?
• In che misura le associazioni professionali erano in grado di mediare i conflitti interni fra singoli e gruppi (fra locali e forestieri, fra differenti specializzazioni, fra membri di status differente) e di gestire le controversie con altri corpi di mestiere?
• La lotta per il riconoscimento di nuove associazioni da parte dell’autorità pubblica: poteva il conflitto stesso essere una forma di difesa degli interessi?
• Qual era lo spazio in cui si esercitava l’autorità di questo o quel tipo di gruppo professionale: una città? Una città e il suo contado? Un regno?
• Qual era il ruolo dei compagni?

3. Associazioni di mestiere e genere
• Corporazioni, confraternite di mestiere, altre comunità professionali: quali differenze nell’accoglienza delle donne?
• Esclusione: quali i fattori determinanti?
• Inclusione: di chi, a quali condizioni e con quali prerogative?
• È esistita una strategia femminile di autoesclusione? Per quali ragioni?

4. La formazione del capitale umano
• Se è vero che esiste una correlazione positiva tra formazione, miglioramento qualitativo del capitale umano e sviluppo economico, che ruolo effettivo hanno giocato i mestieri organizzati nella selezione e qualificazione dei nuovi maestri?
• Esistevano alternative all’apprendistato svolto presso le corporazioni?
• Quanto la necessità di utilizzare gli apprendisti come manodopera interferiva con la completezza del percorso formativo?
• Quanto erano diffusi e in che cosa consistevano i sistemi di verifica dell’apprendimento?

5. Associazioni di mestiere e mercato
• Quali erano i principali strumenti attraverso i quali i corpi di mestiere mantenevano elevati i prezzi dei prodotti realizzati e venduti?
• Quali i mezzi impiegati per abbassare il costo della manodopera e delle materie prime utilizzate?
• È possibile dimostrare che i mestieri organizzati sfruttavano la loro posizione di privilegio o monopolio, non per regolare ma per alterare a loro vantaggio i meccanismi della domanda e dell’offerta?

6. La tutela della qualità
• Quali erano i veri moventi della regolamentazione in quest’ambito? L’esclusione delle merci dei competitors che potevano ridurre i profitti degli associati? Un genuino interesse per la bontà degli articoli prodotti e commercializzati? La volontà di lottare contro le frodi che danneggiavano la reputazione del gruppo, minavano la fiducia dei consumatori e restringevano il mercato?
• L’emanazione e la reiterazione di norme a tutela della qualità delle materie prime impiegate, dei processi lavorativi e dei prodotti finiti, così come di tutte le merci messe in vendita, aveva un effettivo impatto sugli standard qualitativi? O era innanzitutto un modo per riaffermare continuamente la potestas statuendi del gruppo?
• Marchi e certificazioni di qualità erano garanzie sufficienti per i consumatori? E proteggevano realmente produttori e venditori da imitazioni e falsificazioni?
• Quanto incidevano i sistemi di controllo basati sull’ispezione dei luoghi di produzione e di vendita, l’esistenza di delatori e spie e la minaccia di sanzioni severe?

7. Mestieri, innovazioni e progresso tecnico
• Almeno per quanto riguarda le corporazioni, il rapporto con le innovazioni è stato spesso ridotto dalla storiografia all’alternativa fra opposizione e stimolo. Al di là della prevedibile varietà delle risposte nei differenti contesti, si può individuare un diverso atteggiamento a seconda della tipologia dei corpi di mestiere, per esempio fra associazioni mercantili o a dominante partecipazione di mercanti-imprenditori (come quelle tessili) e gli organismi formati da artigiani e dettaglianti?
• Dinanzi alla concessione di privilegi e patenti a specialisti e ‘inventori’ da parte delle autorità pubbliche, quale spazio di parola, negoziazione, intervento era riservato ai gruppi di mestiere?
• I ‘segreti di bottega’ o i ‘segreti dell’arte’, in tutti i tipi di comunità di mestiere, rappresentavano una forma di conoscenza consolidata da proteggere accuratamente per non offrire la possibilità di migliorare ai propri concorrenti. La repressione verso chi li divulgava, magari spostandosi direttamente in altri luoghi, fu sempre la norma? O vi furono, nel tempo, atteggiamenti di maggiore flessibilità?

8. Associazioni di mestiere sul mercato
• Qual era il ruolo delle associazioni di mestiere come acquirenti di immobili?
• Quale il loro contributo alla committenza e al mercato dell’arte?

Bibliografia
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Ogilvie S. 2019, The European Guilds: An Economic Analysis, Princeton, Princeton University Press.
Ogilvie S. 2021, Thinking Carefully about Inclusiveness: Evidence from European Guilds, «Journal of Institutional Economics», 17 (2), pp. 185-200.
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Sewell W. H. 1980, Work and Revolution in France. The Language of Labor from the Old Regime to 1848, Cambridge, Cambridge University Press.
Zardin (a cura di) 1998, Corpi, “fraternità”, mestieri nella storia della società europea, Roma, Bulzoni.

Risultati attesi
I risultati dei contributi selezionati saranno presentati e discussi a Prato nel corso della Settimana di Studi 2026. Dopo la discussione nelle sessioni della Settimana, i relatori dovranno completare e rivedere il loro testo entro il 30 giugno 2026. Tutti i contributi ricevuti dall’Istituto saranno sottoposti a referee anonimo prima della pubblicazione.

Call for paper
Gli studiosi sono invitati a spedire la loro proposta preparando un abstract che sarà esaminato dalla Giunta del Comitato scientifico.

Le relazioni dovranno rappresentare un contributo originale di carattere comparativo o uno specifico caso di studio che sviluppi alcune delle questioni di fondo suggerite nella Call for paper. I partecipanti che stanno svolgendo un dottorato di ricerca, dovranno averlo concluso prima dell’inizio del convegno.

Le proposte provenienti da progetti o gruppi che mettono in relazione scuole o paesi diversi saranno accolte con particolare interesse se offrono una analisi comparativa, in termini geografici o diacronici, rispetto a due o più dei temi di ricerca suggeriti. Per questo tipo di proposte, prenderemo in considerazione anche formati innovativi di sessione.

Il formulario completo dovrà essere inviato entro il 31 dicembre 2024 al seguente indirizzo:
Fondazione Istituto Internazionale di Storia Economica “F. Datini”
Via Ser Lapo Mazzei 37, 59100 Prato, ITALY
e-mail:datini@istitutodatini.it

La Giunta del Comitato scientifico prenderà in considerazione solo formulari interamente compilati e deciderà all’inizio del 2025 quali proposte verranno accettate, inviando l’invito agli autori delle proposte selezionate. Tenendo conto delle risorse finanziarie dell’Istituto, sarà garantita l’ospitalità a Prato nel corso della Settimana di Studi ad almeno 25 studiosi. La Giunta può inoltre invitare fino ad un massimo di ulteriori 20 studiosi a partecipare al progetto senza diritto all’ospitalità.

La Fondazione Datini metterà a disposizione dei relatori della Settimana di Studi fino a 10 borse dell’importo massimo di 250 euro per coprire i costi di viaggio. Tali borse sono destinate ai ricercatori post-doc non strutturati.
Coloro che richiederanno tale borsa dovranno spedire l’apposita domanda insieme con il loro contributo entro il 10 aprile 2026. La borsa di viaggio sarà liquidata nel corso della Settimana di Studi, presentando le ricevute delle spese di viaggio.

I membri della Giunta sono: Philippe Bernardi (Parigi, Presidente), Michael North (Greifswald, Vicepresidente), Giuseppe Petralia (Pisa, Vicepresidente), Angela Orlandi (Firenze, Direttrice Scientifica), Erik Aerts (Lovanio), Hilario Casado Alonso (Valladolid), Markus Denzel (Lipsia), Franco Franceschi (Firenze), Maryanne Kowaleski (New York), Gaetano Sabatini (Roma Tre).

Tutti i contributi presentati dovranno essere originali e non tradotti o apparsi in pubblicazioni precedenti.

I testi provvisori dei contributi selezionati, o almeno una loro sintesi dettagliata, dovranno essere inviati alla Fondazione Datini entro il 10 aprile 2026.
Essi saranno messi in linea (con accesso riservato ai partecipanti al progetto e ai membri del Comitato scientifico) sul sito dell’Istituto prima della Settimana di Studi per consentire una discussione più approfondita sul loro contenuto.
Gli autori che non invieranno i loro testi alla Fondazione entro quel termine, non saranno inclusi nel programma finale. In assenza dell’autore la sintesi potrà essere letta durante il convegno.

Nel corso della Settimana i partecipanti offriranno una sintetica presentazione (massimo 20 minuti). Durante il convegno sarà attiva la traduzione simultanea da e per le lingue italiana, inglese e francese.

I testi definitivi, rivisti dall’autore sulla base della discussione durante la Settimana (massimo 60.000 caratteri) dovranno essere inviati all’Istituto entro il 30 giugno 2026.
Essi saranno sottoposti a una doppia peer review anonima. I testi che supereranno il giudizio dei valutatori saranno pubblicati entro un anno in un apposito volume.

Ai fini della pubblicazione, saranno accettati testi in lingua italiana, francese, inglese, spagnola e tedesca.

Gli autori che non scrivono nella loro lingua madre sono invitati a far controllare e correggere la lingua del loro testo prima di presentare il contributo per la fase di valutazione. Uno dei requisiti per la pubblicazione è che la grammatica e lo stile di scrittura soddisfino elevati standard accademici.


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