ARCHIVIO DATINI
Francesco di Marco Datini muore, senza eredi, nella casa di Prato, il 16 agosto 1410, lasciando tutte le sue sostanze al Ceppo dei poveri. E lascia un’altra importante testimonianza di sé, fatta di registri contabili e di carteggi, che costituiscono un consistente fondo oggi depositato presso l’Archivio di Stato di Prato, che ha sede nella antica abitazione del mercante.
Si tratta di una collezione di documenti basso-medievali prodotti dal gruppo di aziende datiniane negli anni compresi tra il 1363 ed il 1410.
L’insieme archivistico, unico per organicità e consistenza, mette in evidenza la funzione del dirigente puro che, al vertice di una sorta di holding company di medie dimensioni, determinava i propri comportamenti e scelte sulla base di una attenta analisi interna alle proprie aziende e dell’ambiente economico in cui queste svolgevano affari.
Il Datini, alla periodica chiusura dei conti di ogni compagnia appartenente al suo gruppo, si faceva spedire i registri contabili, per un ulteriore controllo delle attività svolte e dei risultati conseguiti. Insieme con i registri, venivano inviati anche tutti i pacchi di corrispondenza ricevuta.
La contabilità datiniana, quasi tutta in partita doppia, ha subito, nel periodo documentato, un continuo processo di innovazione delle procedure che, affinandosi, consentivano un più efficace controllo.
I suoi contenuti, oltre che utili allo studio interno aziendale, mostrano l’affermarsi di nuove pratiche e strumenti commerciali o finanziari che caratterizzarono l’azione dei mercanti toscani nella seconda metà del Trecento.
Su questi argomenti è ricchissimo di notizie il carteggio commerciale, strumento indispensabile del mercante per essere tempestivamente informato su tutto ciò che poteva riguardare, direttamente o indirettamente, l’andamento del mercato.
Accanto alle informazioni di carattere strettamente economico, relative al funzionamento delle piazze, all’andamento dei cambi e dei prezzi, ecc. ne troviamo altre di tipo politico, sociale, culturale, artistico o religioso. Informazioni che incontriamo non solo nella corrispondenza tra le aziende appartenenti al medesimo gruppo, ma spesso anche tra quelle concorrenti.
La rilevanza e utilità di questo materiale è tanto maggiore quanto più esso è addensato nel tempo e diffuso geograficamente.
La varietà dei centri economici con i quali il sistema datiniano era in contatto è dimostrata dal numero e dalla tipologia dei mittenti. Se, per un verso, il maggior numero di lettere provengono dai più importanti centri commerciali inglesi, olandesi, tedeschi, francesi, spagnoli ed italiani, le 267 località mittenti si distribuiscono in un perimetro delimitato dalle città di Bristol, Lisbona, Safi, La Mecca, Tana, Varna, Ragusa, Norimberga, Colonia.
Il quarantennio documentato nel fondo Datini (ma l’80% dei documenti riguarda gli ultimi 20 anni) è costituito da 1194 pezzi, dei quali 602 sono libri contabili e 592 buste di carteggio, contenenti circa 150.000 lettere.
Di questi, 574 codici e 497 buste sono distribuiti nei rispettivi 8 fondaci datiniani (Avignone, Prato, Pisa, Firenze, Genova, Barcellona, Valenza e Maiorca), mentre i rimanenti 28 registri e 95 buste sono riuniti in un settore a parte dei “documenti diversi”.
Il cammino di oltre cinque secoli è stato superato da questo archivio con perdite minime. I danni avvennero soprattutto all’origine, durante il trasporto a Pisa, per il carteggio di Avignone, che andò perduto per oltre il 95%. Le mutilazioni nella serie di registri (inferiori al 10%, almeno per l’ultimo ventennio) sono quasi totalmente compensate dalla coesistenza di libri collaterali.
La fortunata circostanza per cui l’archivio è giunto a noi nella sua interezza si deve innanzitutto agli amministratori dell’Opera Pia, che depositarono in qualche locale inutilizzato tutta l’ingente documentazione, senza manometterla. Dopo circa un secolo, nel 1560, uno studioso pratese, Alessandro Guardini, si interessò alle carte Datini dando loro un primo ordinamento. Ma nel Seicento, quando il Palazzo fu sottoposto a modifiche e restauri, i documenti, legati in pacchi, furono accatastati e posti in una “scaletta cieca”, rimanendovi dimenticati fino al loro ritrovamento alla fine dell’Ottocento.